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#SìCash parte IV: Una guerra impopolare

Vai al capitolo precedente: Parte III. La guerra al contante.

Come si evince dagli esempi del capitolo precedente, i moventi delle guerre al denaro fisico sono i più disparati: la lotta alla povertà e al terrorismo, l’emersione dell’evasione fiscale, la caccia a corrotti e corruttori, la facilitazione delle politiche monetarie centrali. Rimandando ai prossimi capitoli l’approfondimento di questi temi, osserviamo però un denominatore comune: che la guerra al contante è, sempre e rigorosamente, una guerra top-down, dichiarata dai vertici e subita dalla base. Ad auspicare la riduzione o abolizione del denaro fisico non sono enti locali, associazioni dei consumatori, sindacati, commercianti, piccole e medie imprese o semplici cittadini, ma corporation, gruppi bancari, governi nazionali e internazionali, accademici di grido.

La guerra al contante è, sempre e rigorosamente, una guerra top-down, dichiarata dai vertici e subita dalla base.

Per usare le parole di Yves Mersch, membro dell’Executive Board della Banca centrale europea, «un altro grosso problema… è che la maggior parte della gente, almeno nell’Unione europea, non vuole» l’abolizione del contante. E in effetti, da una recente indagine condotta dalla banca tedesca Ing-DiBa su 13 paesi europei già rivelatrice nel titolo, «Cash bleibt doch King» (il contante resta sovrano), è emerso che il 74% degli intervistati non è disposto a rinunciare al denaro contante, con picchi dell’84% in Germania e dell’85% in Italia, che si posiziona così al primo posto nel campione.

Fonte: ING Bank 2017.

La misura della percezione di sicurezza e privacy nei confronti dei due sistemi di pagamento rivela che, mediamente, gli intervistati non ritengono il denaro virtuale più sicuro di quello fisico. In quanto alla privacy, la percentuale di coloro che attribuiscono al contante una tutela alta o molto alta è quasi doppia rispetto a chi si fida dei pagamenti cashless (60% vs 37%). Più di un quarto del campione (26%) si ritiene poco o per nulla tutelato quando paga con denaro virtuale, ma solo l’8% attribuisce gli stessi rischi al denaro fisico.

Per quanto siano sempre più numerosi gli analisti che annunciano la ritirata e morte imminente del denaro fisico, i trend monetari sembrano invece dimostrare il contrario. Dall’introduzione dell’euro a oggi, la richiesta di valuta fisica è in continuo aumento. Il suo valore, triplicatosi rispetto al 2003, è cresciuto a un tasso maggiore del PIL passando dal 5% del PIL del 2002 al 10% del 2016. Per avere una conferma della fiducia che i consumatori continuano a riporre nel denaro fisico come riserva di valore basterebbe del resto osservare le tendenze all’indomani della crisi bancaria Lehman (2008), quando il tasso di aumento del circolante si impennò bruscamente dall’8% al 13%, con punte di incremento del 18% per le banconote da 500 euro, tornando ad assestarsi nella banda tra il 2% e il 5% una volta rientrata l’emergenza. In quel frangente e in altri successivi, per quanto non sistemici, i risparmiatori si sono rivolti al denaro fisico per proteggersi dal rischio di insolvenza delle banche in crisi (dati Deutsche Bank).

Dall’introduzione dell’euro a oggi, la richiesta di valuta fisica è in continuo aumento.

Dai dati e dai risultati dei sondaggi sembra insomma che la guerra al contante non trovi il consenso della maggioranza dei cittadini e che quindi, se condotta con la forza della legge, sia poco compatibile con i principi di una democrazia. Resta da chiedersi se le urgenze addotte a giustificarla siano così pressanti e ben fondate da rendere tollerabile una coercizione volta a limitare, sanzionare e reprimere l’utilizzo del denaro fisico contro la volontà dei più, e con quali conseguenze.

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