Riferisce l’agenzia Ansa che il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho – già magistrato a Milano e Napoli, protagonista in numerosi processi contro la camorra casalese – avrebbe commentato durante una lectio magistralis che “eliminare del tutto il denaro contante sarebbe la soluzione migliore per eliminare le mafie“. Secondo il magistrato “tutte le spese si [dovrebbero] inserire nella dichiarazioni di redditi” in modo da “controllare tutti i pagamenti”. Ma poiché ciò non avviene, conclude, “evidentemente non si vuole eliminare l’evasione” rinunciando così a uno “strumento per combattere la criminalità organizzata”.
Senza negare la lunga esperienza del procuratore nel settore, né tantomeno il fatto che le organizzazioni mafiose si avvalgano abbondantemente del denaro contante per delinquere – come anche di automobili e telefoni cellulari, del resto – l’affermazione ci sembra quantomeno audace.
Sono tante le obiezioni che si potrebbero sollevare. Antropologicamente, non si è mai visto nella storia umana un solo caso di “eliminazione” del crimine, il quale agisce con gli strumenti che ha a di volta in volta a disposizione (inclusa la moneta elettronica) e prospera piuttosto nel disagio materiale e sociale, imponendosi dunque come problema politico, non tecnico. Sarebbe ad esempio bello “eliminare” gli omicidi vietando la produzione di armi da fuoco, ma purtroppo non funziona così.
Giuridicamente, siamo alle solite. La legge deve servire a garantire la libertà dei cittadini e a perseguire chi ne abusa, non a reprimerla. Quella di mettere le catene a tutti e di sospendere i diritti di tutti (ad esempio quello alla privacy e alla piena potestà sul proprio denaro) è una tentazione sicuramente facile, un uovo di Colombo che però tradisce il senso stesso di darsi una legge.
Basterebbe una distratta lettura dei titoli di giornali per accorgersi che la Cartamoneta è ormai la cenerentola del crimine – erariale o mafioso.
Ma anche senza metterla sul filosofico, gli stessi fatti sembrano fare a pugni con l’auspicio di questa “eliminazione” magica. La correlazione tra denaro contante e criminalità è già stata indagata e smentita da numerosi lavori scientifici, tra cui ad esempio le stime econometriche del prof. Friedrich Schneider (Università di Linz), che osserva appunto come l’importanza del denaro contante per le organizzazioni criminali sia “in costante decrescita”. Basterebbe del resto una distratta lettura dei titoli di giornali per accorgersi che la cartamoneta è ormai la Cenerentola del crimine – erariale o mafioso.
Una bella carrellata di evasori fiscali, tutti idraulici ed elettricisti come potete vedere 😏 pic.twitter.com/GXUsPHmyfn
— Corvonero ✞ Maria Natale (@Corvonero75) December 10, 2019
Qui sopra, l’amico Corvonero ha raccolto e diffuso su Twitter una breve e non esaustiva rassegna di notizie da cui emerge con chiarezza ciò che anche l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA) ha recentemente certificato, che cioè “le grandi imprese evadono 16 volte di più delle piccole” e non lo fanno ovviamente in contanti, visto che
le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni indebite. Reati, quest’ultimi, che non verranno nemmeno sfiorati dalle misure di contrasto all’utilizzo del contante che il Governo metterà a punto nelle prossime settimane.
Nel frattempo, cinque giorni fa la Guardia di finanza ha fermato in quel di Como un pregiudicato per narcotraffico internazionale in possesso di un assegno da 100 milioni di euro (!) emesso dal Crédit Suisse di Ginevra, nell’ipotesi di reato che stesse passando il confine per riciclare il denaro nel nostro Paese. Forse è il caso di porsi qualche domanda.