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Per saggiare gli effetti reali – e non quelli immaginati – della lotta al contante è utile considerare il recente caso dell’India, dove l’8 novembre 2016 il premier Narendra Modi annunciò che dal giorno seguente le banconote più diffuse nel paese (da mille e da cinquecento rupie, pari all’86% dei biglietti circolanti) sarebbero state messe fuori corso.
L’India è uno dei paesi più popolosi e più poveri del mondo. Vi abitano più di 1,3 miliardi di persone, quasi il 20% della popolazione mondiale. Circa un quarto della sua popolazione vive al di sotto della soglia di povertà estrema: 270 milioni di persone, pari al 35% dei poveri di tutto il mondo. Circa due terzi del prodotto interno lordo indiano derivano dall’economia informale, cioè da piccole transazioni che per la loro natura – famigliare, fiduciaria, precapitalista ecc. – non sono soggette alle registrazioni della contabilità pubblica ufficiale e si avvalgono quasi esclusivamente di denaro fisico. Questi numeri, impressionanti, fanno della vicenda indiana non un caso particolare ma un paradigma e un monito applicabili a tutte le politiche di demonetizzazione e al loro impatto sulle classi economicamente più svantaggiate.
La guerra al denaro contante non è uno strumento di guerra contro la povertà, ma contro i poveri.
All’indomani della decisione di Modi, centinaia di milioni di indiani si precipitarono agli sportelli delle banche per cambiare le banconote fuori corso in tagli legali. Ne nacque il caos, con lunghe file davanti agli sportelli, scene di disperazione, aggressioni e persino morti e suicidi. Se i modi in cui fu condotta l’operazione furono senz’altro discutibili, è nei suoi esiti che se ne deve misurare il vero, inappellabile fallimento. La relazione 2016-2017 della Reserve Bank of India pubblicata il 30 agosto 2017 traccia un quadro impietoso. Nonostante il governo avesse previsto che il denaro frutto di attività illecite sarebbe stato distrutto per non incorrere in sanzioni, il 99% delle banconote finì invece per essere regolarmente ritirato dalle banche: corrotti, criminali e grandi evasori avevano trasformato il bando governativo in un «condono tombale» affidando i loro fondi neri a intermediari e prestanome affinché li riciclassero. L’abbattimento del tasso di crescita provocato dal provvedimento fu tutto a carico delle piccole attività di sussistenza rimaste bloccate per settimane e delle piccole e medie imprese che, scriveva la Bank of India il 26 agosto, «hanno visto praticamente sparire buona parte della loro liquidità».
Le premesse dell’«inclusione finanziaria» e i risultati dell’esperimento indiano confermano che a dispetto delle intenzioni dichiarate la guerra al denaro contante non è uno strumento di guerra contro la povertà, ma contro i poveri, nell’interesse di chi aspira a intercettarne gli averi.
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